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“Candy Candy è la preda ideale?”

Secondo Girone

“Candy Candy è la preda ideale?”

«Dottoressa, faccia uscire “questa tizia” dal mio corpo, la prego!»

È stata la prima richiesta di S.O.S. fatta alla psicologa quando nel suo studio mi sono seduta di fronte a lei, manco mi fossi rivolta a un’esorcista.

«E chi sarebbe questa tizia?», mi ha chiesto strabuzzando gli occhi.

«Candy Candy, la crocerossina che alloggia dentro di me!».

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La mia empatia è così smisurata che, a volte, non comprendo se sia “lei” ad abitare in me o se sia io ad essere sua ospite.

Fatto sta che nell’auto analizzarmi, prima di rivolgermi alla specialista, ho dato tutta la responsabilità di essere rimasta imbrigliata nella relazione tossica con quello là alla “Signorina tutta lentiggini” (Così come la chiamava Terence, ricordate? Praticamente uno dei primi narcisisti per cui abbiamo perso la testa un po’ tutte).

Da quando un vecchio claim ce l’ha inculcato, sappiamo che “prevenire è meglio che curare”, tuttavia nel caso in cui, invece, il danno sia stato fatto il percorso terapeutico resta necessario dopo un’esperienza tanto traumatica quanto destabilizzante per il corpo e per la mente. A me è servito, innanzitutto, a ridimensionare i sensi di colpa per esserci cascata, poi a rendere chiare cause e dinamiche di un legame perverso e infine a ricucire i pezzi di una persona fatta a brandelli: io.

Credo di non essermi ancora perdonata per il troppo tempo dedicato a questo individuo ma pian piano, sono sicura, risolverò con me stessa anche questo aspetto. È il motivo per il quale mi sta tanto a cuore la prevenzione, il motivo che mi ha spinta verso questa strada sterrata ma comunque percorribile. Non possiamo permettere a qualcun altro di rubare il nostro tempo perché nel momento in cui si rinsavisce la sensazione, poi, è quella di averlo gettato via volontariamente e vi assicuro che questa sarà la parte più complicata da elaborare e da accettare.

Per quanto riguarda la corretta informazione, invece, il percorso con la psicologa mi è servito anche a scoprire, con sorpresa, che “Candy Candy” è stata responsabile solo in parte.

Chi è allora la preda prediletta del manipolatore affettivo?

Post-it: È opportuno chiarire che, per quanto le tappe di una relazione con i narcisisti abbiano a grandi linee sempre lo stesso procedimento, per quanto questi soggetti abbiano in comune l’attitudine alla manipolazione e come unico scopo il controllo della partner, le personalità non sono tutte uguali e la scelta della preda viene sostanzialmente fatta anche in base alla loro cultura e alla posizione che occupano in società.

Ci sono, come abbiamo visto, i narcisisti plateali che ti amano alla follia e ti vogliono sposare dopo un giorno e, lì, con un minimo di lucidità i segnali sono forti e riconoscibili. Ci sono, però, anche manipolatori molto più abili e astuti che agiscono in maniera così sottile che riconoscerli subito è praticamente impossibile. Cosicché anche una donna determinata, brillante, non particolarmente empatica e lungi dall’essere crocerossina può restare coinvolta in un legame tossico.

Troverete l’identikit dei narcisisti con le loro caratteristiche nel glossario in fondo al manuale.

Dunque, riepilogando, certo è che la “donna crocerossina” abbia una notevole propensione alla relazione con il narcisista. Tra le prime strategie manipolative messe in atto dal vampiro energetico, c’è quella di far leva sul proprio vittimismo e qui “la ragazza della croce rossa” ci va a nozze.

Certo è che questi due personaggi siano i protagonisti delle peggiori favole. La loro non è semplicemente una storia destinata a restare senza l’happy ending, crocerossine e narcisisti danno vita a una trama di fronte al quale i film dell’orrore inorridiscono.

Certo NON è che sia l’unica tipologia di donne che possa capitolare davanti a quest’amore che, come ci canta Gianna Nannini a squarciagola, è una camera a gas.

Di conseguenza bisogna assolutamente smantellare ogni congettura basata sul “Abbiamo la sindrome della crocerossina? Allora è ovvio essere “prede” di questi soggetti”, un po’ come dire “Ce la siamo cercata”. Nessuna se la va a cercare, semplicemente capita e non riusciamo a riconoscerla.

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Ivana Napolitano, ci spiega che spesso chi è vittima di un partner affettivo psicologicamente abusante si trova a dover fare i conti con affermazioni che amplificano i sensi di colpa ed impediscono il processo di esternalizzazione del dolore, prima fra tutte “se l’è andata a cercare!”

Questo pregiudizio viene rafforzato dall’idea che tutte le vittime siano donne affamate d’amore convinte che l’unico modo per essere amate sia quello di sacrificare sé stesse. Si parla di “dipendenza affettiva” quando tutti i propri sforzi, reali o mentali sono concentrati sull’altro e sulla relazione, nonostante i suoi palesi aspetti disfunzionali. Molte donne hanno difficoltà a riconoscere il “vero amore” perché hanno un vuoto interiore (derivante da ferite infantili) richiedente, distruttivo che pretende di essere riempito con qualsiasi cibo spingendole ad aggrapparsi a storie deludenti, tossiche, nocive, violente.  Queste donne insicure, con bassa autostima, troppo empatiche restano incastrate nella relazione con l’egoista manipolatore e sono quelle che con più leggerezza vengono ingiustamente etichettate come “colpevoli” di essersi imbattute nel trauma dell’abuso narcisistico.

È assolutamente importante diffondere l’idea che chiunque può essere abusato psicologicamente, nessuna donna ha fatto qualcosa di sbagliato per meritare una relazione tossica. Sono tante le storie di vittime che con la “crocerossina” non c’entrano niente, al contrario, sono sicure di sé, severe, autorevoli, determinate e con storie familiari di amore e di attaccamento sicuro. Non esiste l’identikit della “vittima perfetta”, ogni persona ha la sua peculiarità. Quello che sicuramente accomuna le “prede”, invece, è l’entità del trauma: dopo un abuso narcisistico la donna si sente uno straccio, sviluppa un’idea di sé distorta e sminuita.

 

Io, per quello là, ero una papabile vittima perfetta ma più di tutto rappresentavo certamente la sfida perfetta: una crocerossina dallo spirito indipendente. Riuscite ad immaginare una preda più allettante?

Ero single da tanto tempo con una vita a dir poco frenetica, ormai abituata a quelli che già allora chiamavo “fantasmini”, maschi che apparivano e sparivano come fosse stato nulla e soprattutto come io fossi stata nulla. Alla fine, ero così assuefatta da aver adottato lo stesso loro atteggiamento.

Chi l’avrebbe detto che oggi questi soggetti sarebbero diventati popolari e dannosamente di tendenza con il nome di “ghoster” e il loro fare “ghosting” del cazzo. Questo, però, lo vedremo qualche girone più avanti.

Premetto che tale atteggiamento non mi stava bene, tuttavia, questi personaggi funzionavano così e pian piano mi ero accomodata anch’io in quella superficialità. E a proposito di superficialità a lui avevo espresso, tra le mille chiacchiere della sera in cui ci siamo conosciuti, anche il desiderio di volermi sposare un giorno, non per la vita matrimoniale ma solo per indossare “quell’abito” e perché, visto che organizzavo eventi, mi sarebbe piaciuto andare al mio matrimonio che avevo già tutto nella mente. Gli avevo fatto un assist che neanche il miglior Luis Alberto con il malleolo o Milinkovic di tacco nella mia Lazio, ecco perché “desiderava” sposarmi di rovesciata al volo.

Quando, a fine serata, mi chiese: «A che ora passo a prenderti domani?», gli risposi: «In che senso domani?», ero incredula al punto che pensavo di aver capito male. Ero abituata a rivedere un “tipo nuovo” dopo un lasso di tempo indefinito.

Il mio cervello l’anomalia di quel “Love Bombing”, come vi ho detto, l’aveva intercettata ciononostante era rimasto fortemente attratto da chi non aveva intenzione di sparire, anzi, addirittura di progettare e costruire.

Post-it: Non c’è nulla che esca dai loro sguardi o dalla loro bocca che non sia minuziosamente calcolato. Loro non ci stanno semplicemente ascoltando quando ci raccontiamo, durante il love bombing, stanno archiviando ogni possibile informazione per poi colpire i nostri bisogni e affondare i nostri punti deboli. Ah, e teniamo bene a mente che questa sarà l’unica fase della relazione in cui hanno la virtù dell’ascolto, in seguito le nostre saranno solo parole al vento.

Ecco, quindi, va bene lavorare su noi stesse al fine di comprendere i motivi per i quali ci siamo fatte irretire ma resta fondamentale scrollarci di dosso, quanto prima, i sensi di colpa e acquisire la consapevolezza che questi soggetti dalla personalità disturbata hanno delle skills manipolative così machiavelliche che Sherlock Holmes e Mr Moriarty messi insieme gli spicciano casa.

E, lo ammetto, non vedevo l’ora di usare anche io una delle espressioni “più fighe” del momento, “Skills” al posto di “abilità”.

Secondo Girone

“Candy Candy è la preda ideale?”

«Dottoressa, faccia uscire “questa tizia” dal mio corpo, la prego!»

È stata la prima richiesta di S.O.S. fatta alla psicologa quando nel suo studio mi sono seduta di fronte a lei, manco mi fossi rivolta a un’esorcista.

«E chi sarebbe questa tizia?», mi ha chiesto strabuzzando gli occhi.

«Candy Candy, la crocerossina che alloggia dentro di me!».

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La mia empatia è così smisurata che, a volte, non comprendo se sia “lei” ad abitare in me o se sia io ad essere sua ospite.

Fatto sta che nell’auto analizzarmi, prima di rivolgermi alla specialista, ho dato tutta la responsabilità di essere rimasta imbrigliata nella relazione tossica con quello là alla “Signorina tutta lentiggini” (Così come la chiamava Terence, ricordate? Praticamente uno dei primi narcisisti per cui abbiamo perso la testa un po’ tutte).

Da quando un vecchio claim ce l’ha inculcato, sappiamo che “prevenire è meglio che curare”, tuttavia nel caso in cui, invece, il danno sia stato fatto il percorso terapeutico resta necessario dopo un’esperienza tanto traumatica quanto destabilizzante per il corpo e per la mente. A me è servito, innanzitutto, a ridimensionare i sensi di colpa per esserci cascata, poi a rendere chiare cause e dinamiche di un legame perverso e infine a ricucire i pezzi di una persona fatta a brandelli: io.

Credo di non essermi ancora perdonata per il troppo tempo dedicato a questo individuo ma pian piano, sono sicura, risolverò con me stessa anche questo aspetto. È il motivo per il quale mi sta tanto a cuore la prevenzione, il motivo che mi ha spinta verso questa strada sterrata ma comunque percorribile. Non possiamo permettere a qualcun altro di rubare il nostro tempo perché nel momento in cui si rinsavisce la sensazione, poi, è quella di averlo gettato via volontariamente e vi assicuro che questa sarà la parte più complicata da elaborare e da accettare.

Per quanto riguarda la corretta informazione, invece, il percorso con la psicologa mi è servito anche a scoprire, con sorpresa, che “Candy Candy” è stata responsabile solo in parte.

Chi è allora la preda prediletta del manipolatore affettivo?

Post-it: È opportuno chiarire che, per quanto le tappe di una relazione con i narcisisti abbiano a grandi linee sempre lo stesso procedimento, per quanto questi soggetti abbiano in comune l’attitudine alla manipolazione e come unico scopo il controllo della partner, le personalità non sono tutte uguali e la scelta della preda viene sostanzialmente fatta anche in base alla loro cultura e alla posizione che occupano in società.

Ci sono, come abbiamo visto, i narcisisti plateali che ti amano alla follia e ti vogliono sposare dopo un giorno e, lì, con un minimo di lucidità i segnali sono forti e riconoscibili. Ci sono, però, anche manipolatori molto più abili e astuti che agiscono in maniera così sottile che riconoscerli subito è praticamente impossibile. Cosicché anche una donna determinata, brillante, non particolarmente empatica e lungi dall’essere crocerossina può restare coinvolta in un legame tossico.

Troverete l’identikit dei narcisisti con le loro caratteristiche nel glossario in fondo al manuale.

Dunque, riepilogando, certo è che la “donna crocerossina” abbia una notevole propensione alla relazione con il narcisista. Tra le prime strategie manipolative messe in atto dal vampiro energetico, c’è quella di far leva sul proprio vittimismo e qui “la ragazza della croce rossa” ci va a nozze.

Certo è che questi due personaggi siano i protagonisti delle peggiori favole. La loro non è semplicemente una storia destinata a restare senza l’happy ending, crocerossine e narcisisti danno vita a una trama di fronte al quale i film dell’orrore inorridiscono.

Certo NON è che sia l’unica tipologia di donne che possa capitolare davanti a quest’amore che, come ci canta Gianna Nannini a squarciagola, è una camera a gas.

Di conseguenza bisogna assolutamente smantellare ogni congettura basata sul “Abbiamo la sindrome della crocerossina? Allora è ovvio essere “prede” di questi soggetti”, un po’ come dire “Ce la siamo cercata”. Nessuna se la va a cercare, semplicemente capita e non riusciamo a riconoscerla.

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Ivana Napolitano, ci spiega che spesso chi è vittima di un partner affettivo psicologicamente abusante si trova a dover fare i conti con affermazioni che amplificano i sensi di colpa ed impediscono il processo di esternalizzazione del dolore, prima fra tutte “se l’è andata a cercare!”

Questo pregiudizio viene rafforzato dall’idea che tutte le vittime siano donne affamate d’amore convinte che l’unico modo per essere amate sia quello di sacrificare sé stesse. Si parla di “dipendenza affettiva” quando tutti i propri sforzi, reali o mentali sono concentrati sull’altro e sulla relazione, nonostante i suoi palesi aspetti disfunzionali. Molte donne hanno difficoltà a riconoscere il “vero amore” perché hanno un vuoto interiore (derivante da ferite infantili) richiedente, distruttivo che pretende di essere riempito con qualsiasi cibo spingendole ad aggrapparsi a storie deludenti, tossiche, nocive, violente.  Queste donne insicure, con bassa autostima, troppo empatiche restano incastrate nella relazione con l’egoista manipolatore e sono quelle che con più leggerezza vengono ingiustamente etichettate come “colpevoli” di essersi imbattute nel trauma dell’abuso narcisistico.

È assolutamente importante diffondere l’idea che chiunque può essere abusato psicologicamente, nessuna donna ha fatto qualcosa di sbagliato per meritare una relazione tossica. Sono tante le storie di vittime che con la “crocerossina” non c’entrano niente, al contrario, sono sicure di sé, severe, autorevoli, determinate e con storie familiari di amore e di attaccamento sicuro. Non esiste l’identikit della “vittima perfetta”, ogni persona ha la sua peculiarità. Quello che sicuramente accomuna le “prede”, invece, è l’entità del trauma: dopo un abuso narcisistico la donna si sente uno straccio, sviluppa un’idea di sé distorta e sminuita.

 

Io, per quello là, ero una papabile vittima perfetta ma più di tutto rappresentavo certamente la sfida perfetta: una crocerossina dallo spirito indipendente. Riuscite ad immaginare una preda più allettante?

Ero single da tanto tempo con una vita a dir poco frenetica, ormai abituata a quelli che già allora chiamavo “fantasmini”, maschi che apparivano e sparivano come fosse stato nulla e soprattutto come io fossi stata nulla. Alla fine, ero così assuefatta da aver adottato lo stesso loro atteggiamento.

Chi l’avrebbe detto che oggi questi soggetti sarebbero diventati popolari e dannosamente di tendenza con il nome di “ghoster” e il loro fare “ghosting” del cazzo. Questo, però, lo vedremo qualche girone più avanti.

Premetto che tale atteggiamento non mi stava bene, tuttavia, questi personaggi funzionavano così e pian piano mi ero accomodata anch’io in quella superficialità. E a proposito di superficialità a lui avevo espresso, tra le mille chiacchiere della sera in cui ci siamo conosciuti, anche il desiderio di volermi sposare un giorno, non per la vita matrimoniale ma solo per indossare “quell’abito” e perché, visto che organizzavo eventi, mi sarebbe piaciuto andare al mio matrimonio che avevo già tutto nella mente. Gli avevo fatto un assist che neanche il miglior Luis Alberto con il malleolo o Milinkovic di tacco nella mia Lazio, ecco perché “desiderava” sposarmi di rovesciata al volo.

Quando, a fine serata, mi chiese: «A che ora passo a prenderti domani?», gli risposi: «In che senso domani?», ero incredula al punto che pensavo di aver capito male. Ero abituata a rivedere un “tipo nuovo” dopo un lasso di tempo indefinito.

Il mio cervello l’anomalia di quel “Love Bombing”, come vi ho detto, l’aveva intercettata ciononostante era rimasto fortemente attratto da chi non aveva intenzione di sparire, anzi, addirittura di progettare e costruire.

Post-it: Non c’è nulla che esca dai loro sguardi o dalla loro bocca che non sia minuziosamente calcolato. Loro non ci stanno semplicemente ascoltando quando ci raccontiamo, durante il love bombing, stanno archiviando ogni possibile informazione per poi colpire i nostri bisogni e affondare i nostri punti deboli. Ah, e teniamo bene a mente che questa sarà l’unica fase della relazione in cui hanno la virtù dell’ascolto, in seguito le nostre saranno solo parole al vento.

Ecco, quindi, va bene lavorare su noi stesse al fine di comprendere i motivi per i quali ci siamo fatte irretire ma resta fondamentale scrollarci di dosso, quanto prima, i sensi di colpa e acquisire la consapevolezza che questi soggetti dalla personalità disturbata hanno delle skills manipolative così machiavelliche che Sherlock Holmes e Mr Moriarty messi insieme gli spicciano casa.

E, lo ammetto, non vedevo l’ora di usare anche io una delle espressioni “più fighe” del momento, “Skills” al posto di “abilità”.

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