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#unrossoallaviolenza

Terzo Girone

#unrossoallaviolenza

È lunedì 21 novembre 2022. Il lunedì che accompagna la settimana che grida STOP alla violenza sulle donne, perché nel mezzo ha il 25, giornata mondiale dedicata.

È la settimana in cui TV, social, piazze, tutti si mobilitano per noi. Non meno importante è l’aspetto psicologico, per cui, personaggi famosi e sportivi lanciano il loro messaggio scendendo in campo con un segno rosso sul viso per rendere simbolicamente visibile anche quella violenza invisibile, subdola e silenziosa.

Mmh ok, ci piace, grazie tante per questa settimana, in cui la raccomandazione è: “denunciate denunciate denunciate, non siete sole”. Giustamente, gli slogan potrebbero mai esortarci a fare il contrario?!

Va bene, tutto molto bello ma poi passato il santo passata la festa, si spengono i riflettori sulla settimana di sensibilizzazione(?) e, arrivederci, l’appuntamento è al prossimo novembre.

E dopo? E il resto dell’anno?

Qualche giorno fa ho pubblicato sul mio profilo Facebook il post che segue:

“Un’altra donna è stata uccisa da un ex che non ha accettato di essere stato lasciato.

Un’altra donna è stata uccisa dopo aver denunciato.

Dai, menomale, che manca poco alla giornata dedicata”.

girone3-fotoarticolo2

Vi confesso che inizialmente avevo programmato la pubblicazione di amorevol-Mente proprio durante la settimana dedicata alla violenza sulle donne, mi sembrava strategico, ammetto, oltre alla volontà di dare un segnale e, nel mio piccolo, un contributo alla causa.

Poi ci ho riflettuto e ho rimandato l’uscita riconoscendo a me stessa di non poter cedere alle logiche di una strategia di marketing totalmente in contrapposizione con il mio pensiero.

Trovo “le giornate dedicate” inutili, molte delle quali imbarazzanti, questa in particolare mi fa proprio rabbia e concordo appieno con la mia amica C. che ha commentato così il post sopra citato: “Questa giornata è più offensiva degli spogliarellisti l’8 marzo”.

Il post era riferito ad Anastasiia uccisa a coltellate dal compagno, da cui si era separata e che evidentemente non aveva accettato la sua volontà, dopo averne denunciato i maltrattamenti e le minacce.

Come mai questa macabra vicenda non ci è nuova?

Con Anastasiia l’ultimo report aggiornato dalla Direzione Centrale della polizia criminale, realizzato in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, ci dice che nel 2022, fino ad oggi, si contano 82 vittime femminili uccise da partner o ex partner.

Ah, ecco, perché non ci era nuova!

Dunque, incazzata, indignata, impotente, mi prendo la responsabilità di discordare con la settimana dal trend #unrossoallaviolenza che inevitabilmente finisce con l’avere, al massimo, lo stesso folklore di una sagra della solidarietà e dichiarare che, invece, siamo sole e che denunciare serve a poco o a nulla e ogni episodio di femminicidio non fa altro che avvalorare la mia convinzione.

Da oggi, allora, cancelliamo pure i segni rossi e tracciamo sotto i nostri occhi strisce nere, come quelle dei possenti e corazzati giocatori di football americano, come quelle dei soldati nel pieno delle battaglie poiché anche per il prossimo anno abbiamo seriamente e tenacemente da combattere e l’imperativo è “prevenire prevenire prevenire”, perché durante i prossimi 358 giorni, come sempre, si tornerà a parlare di violenza sulle donne solo ogni volta che ne ammazzeranno una..

Attenzione, NON sto affermando che ogni relazione tossica abbia come finale il femminicidio ma che tale legame corre pericolosamente sul filo rischioso di quel potenziale epilogo.

Post-it: Questi soggetti non è che si svegliano una mattina e decidono di punto in bianco di mettere fine alla nostra esistenza. No, loro covano e covano nel tempo fino ad arrivare al gesto estremo quando sentono che stanno perdendo potere su di noi. Per i manipolatori affettivi è inaccettabile essere rifiutati o scartati, gli si destabilizza letteralmente il controllo che si ingegnano a mantenere costante, pertanto, scarto e rifiuto sono azioni che, secondo queste menti disturbate, spettano a loro e non a noi.

Chi è, ogni maledetta volta, l’assassino? “Elementare, Watson, elementare! È l’ex, è il partner o l’amante che non vuole essere lasciato e che, intanto, ha collezionato fascicoli di denunce che hanno lo stesso valore della carta igienica.

Ecco che la prevenzione è assolutamente fondamentale, se non ci tutela adeguatamente la giustizia lasciamo almeno che ci provi l’informazione.

 

La violenza invisibile e subdola a cui mi riferivo è la manipolazione mentale che il narcisista patologico attua perfidamente e in modo consapevole, con ripercussioni psicofisiche devastanti sulle prescelte. In cima alla lista delle strategie c’è il “gaslighting”, un vero e proprio lavaggio del cervello che ha lo scopo di farci dubitare innanzitutto della nostra sanità mentale, via via poi, di prendere il pieno controllo di noi e della nostra vita, infine di isolarci e renderci dipendenti da loro.

La dottoressa Ivana Napolitano, ci spiega cos’è il “gaslighting” e come opera il “gaslighter”.

 

«Svegliarsi da un abuso manipolativo è difficilissimo perché il cervello ridotto a brandelli non vuole staccarsi “dall’ipnosi” per riconoscere di essere stato truffato. La paura è lo strumento di controllo d’elezione, è il terreno fertile su cui viene condotta ogni manipolazione.

girone3-fotoarticolo1

Il “GASLIGHTING” rappresenta una forma molto subdola di violenza psicologica, insidiosa e sottile che conduce chi la subisce a mettere in discussione la propria capacità di giudizio e autonomia valutativa fino a giustificare i continui messaggi di svalutazione e cattiveria del carnefice. La vittima dinanzi a continue distorsioni della comunicazione fatte di ingiunzioni come “Ma come non ti ricordi, l’hai detto tu”, “Non me l’hai mai detto, l’avrai immaginato”, “Non vali niente” finisce col convincersi che ciò che dice l’abusante sia la verità, si rassegna, diventa insicura, estremamente vulnerabile e dipendente.

 

In questa fase la violenza si cronicizza. Uscire da una simile gabbia non è semplice, poiché gli attacchi sono continui ma ambivalenti. La gravità di questa situazione è tale da condurre la vittima verso una condizione patologica. Se una donna si trova in una situazione simile va aiutata esattamente come chi viene picchiata, i lividi dell’anima non si vedono ma possono uccidere».

Post-it: Il termine “Gaslighting” deriva dal film “Gaslight” (Angoscia), del 1944, che ha premiato con l’oscar Ingrid Bergman come migliore attrice. Nella pellicola, tratta da un’opera teatrale, la divina Bergman interpreta il ruolo di Paula, moglie di Gregory, che rischia di impazzire a causa delle manipolazioni quotidiane di suo marito. Vale la pena guardare il film, disponibile sul web per intero, per rendersi conto dell’abuso mentale di questa potente tecnica.

Che si trattasse di “gaslighting” e da dove prendesse il nome questa tattica l’ho scoperto quando ho cominciato a documentarmi su ciò che stavo vivendo, quando rinsavendo ho anche acquistato barlumi di lucidità. Prima di allora descrivevo la mia esperienza, almeno verso il finale, associandola alla più famosa pellicola di Kubrik, tratta dal romanzo di Stephen King, Shining.

Non riuscivo a trovare un modo né diverso né peggiore che descrivesse quella “cosa”, per eventi e scenari mi sembrava di essere Wendy e come lei avrei dovuto trasformare quel po’ di nitidezza mentale in astuzia e soprattutto giocare d’anticipo.

Praticamente segregata in casa, nell’ultimo periodo della relazione, mi sono trovata costretta persino a telefonare i miei genitori di nascosto. Non avevo più connessione con il mondo esterno, amiche, amici, famiglia, tutti banditi dalla mia vita e mi inventavo bugie su bugie per tenerli debitamente lontani. Mia mamma e mio papà erano il solo contatto che mi restava, oltre il buio profondo di quella prigione, quindi lui doveva liberarsene.

Li chiamavo in fretta e furia, chiusa nel bagno o rifugiata in angoli della casa opposti a dove fosse “il tipo”, sempre attenta che non se ne accorgesse, un’ansia tremenda, parlavo velocemente per tagliare corto fingendo qualunque tipo d’impegno che mi impedisse di chiacchierare con più calma.

Quando capitava che l’essere abusante mi scopriva urlava:

«Embè, quando chiami i tuoi mi dai un fastidio da pazzi! Non lo devi fare, non c’è bisogno di telefonargli tutti i giorni, ok?!»

Infatti, lui un pazzo sembrava, con quelle espressioni che gli trasformavano il volto e quegli occhi che facevano spavento. Jack Nicholson, uguale!

Una mattina gliel’ho anche detto che gli somigliava, perché cominciava a dare di matto già di prima mattina, e che quell’appartamento sembrava il set di “Shining”, l’ha preso come un complimento. Io ero terrorizzata, lui ci godeva.

I miei genitori cominciarono a rendersi conto della situazione in cui mi trovavo, così un giorno si sono presentati a sorpresa sulla porta d’ingresso, mi sono sentita come il “Piccolo Lord” quando scende di corsa le scale della “sala grande” e si trova davanti la sua mamma spuntata dal retro dell’albero di Natale gigante. Proprio così.

Ora mi permetto di farla io una raccomandazione: “informiamoci, informiamoci, informiamoci!”.

L’informazione è il cardine fondamentale della prevenzione, siamo affamati di sapere e non smettiamo mai di documentarci su soggetti e relazioni con dinamiche dalle spie patologiche. Solo così potremmo individuare quei benedetti segnali, solo informandoci ci verrà automatico non ignorarli. Divulghiamo informazioni agli altri, parliamone senza vergogna o timore di non essere compresi, confrontiamoci sempre. Proviamoci! La conoscenza ci renderà razionali, la razionalità ci salverà.

“Hanno provato a seppellirci ma quello che non sapevano è che eravamo semi”

Dai risultati dei miei “giri di web” questa citazione è iper-inflazionata nelle sue varianti e vanta una serie indefinita di paternità, la più attendibile è che sia comunemente un proverbio messicano.

Ma poco ci importa delle sue origini. Il suo successo deriva dal fatto che sia una frase che colpisce per impatto, positività e speranza e la trovo quanto mai adatta alla causa di amorevol-Mente e in particolare al tema di questo girone.

Pare anche che, nel 2018, il proverbio sia stato usato come messaggio da migliaia di uomini e donne, a Santiago del Cile, in una manifestazione di protesta contro gli abusi domestici e femminicidio. L’evento si è svolto, in Plaza Italia, l’11 maggio perché non ritenevano necessaria l’attesa di una giornata mondiale dedicata.

Terzo Girone

#unrossoallaviolenza

È lunedì 21 novembre 2022. Il lunedì che accompagna la settimana che grida STOP alla violenza sulle donne, perché nel mezzo ha il 25, giornata mondiale dedicata.

È la settimana in cui TV, social, piazze, tutti si mobilitano per noi. Non meno importante è l’aspetto psicologico, per cui, personaggi famosi e sportivi lanciano il loro messaggio scendendo in campo con un segno rosso sul viso per rendere simbolicamente visibile anche quella violenza invisibile, subdola e silenziosa.

Mmh ok, ci piace, grazie tante per questa settimana, in cui la raccomandazione è: “denunciate denunciate denunciate, non siete sole”. Giustamente, gli slogan potrebbero mai esortarci a fare il contrario?!

Va bene, tutto molto bello ma poi passato il santo passata la festa, si spengono i riflettori sulla settimana di sensibilizzazione(?) e, arrivederci, l’appuntamento è al prossimo novembre.

E dopo? E il resto dell’anno?

Qualche giorno fa ho pubblicato sul mio profilo Facebook il post che segue:

“Un’altra donna è stata uccisa da un ex che non ha accettato di essere stato lasciato.

Un’altra donna è stata uccisa dopo aver denunciato.

Dai, menomale, che manca poco alla giornata dedicata”.

girone3-fotoarticolo2

Vi confesso che inizialmente avevo programmato la pubblicazione di amorevol-Mente proprio durante la settimana dedicata alla violenza sulle donne, mi sembrava strategico, ammetto, oltre alla volontà di dare un segnale e, nel mio piccolo, un contributo alla causa.

Poi ci ho riflettuto e ho rimandato l’uscita riconoscendo a me stessa di non poter cedere alle logiche di una strategia di marketing totalmente in contrapposizione con il mio pensiero.

Trovo “le giornate dedicate” inutili, molte delle quali imbarazzanti, questa in particolare mi fa proprio rabbia e concordo appieno con la mia amica C. che ha commentato così il post sopra citato: “Questa giornata è più offensiva degli spogliarellisti l’8 marzo”.

Il post era riferito ad Anastasiia uccisa a coltellate dal compagno, da cui si era separata e che evidentemente non aveva accettato la sua volontà, dopo averne denunciato i maltrattamenti e le minacce.

Come mai questa macabra vicenda non ci è nuova?

Con Anastasiia l’ultimo report aggiornato dalla Direzione Centrale della polizia criminale, realizzato in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, ci dice che nel 2022, fino ad oggi, si contano 82 vittime femminili uccise da partner o ex partner.

Ah, ecco, perché non ci era nuova!

Dunque, incazzata, indignata, impotente, mi prendo la responsabilità di discordare con la settimana dal trend #unrossoallaviolenza che inevitabilmente finisce con l’avere, al massimo, lo stesso folklore di una sagra della solidarietà e dichiarare che, invece, siamo sole e che denunciare serve a poco o a nulla e ogni episodio di femminicidio non fa altro che avvalorare la mia convinzione.

Da oggi, allora, cancelliamo pure i segni rossi e tracciamo sotto i nostri occhi strisce nere, come quelle dei possenti e corazzati giocatori di football americano, come quelle dei soldati nel pieno delle battaglie poiché anche per il prossimo anno abbiamo seriamente e tenacemente da combattere e l’imperativo è “prevenire prevenire prevenire”, perché durante i prossimi 358 giorni, come sempre, si tornerà a parlare di violenza sulle donne solo ogni volta che ne ammazzeranno una..

Attenzione, NON sto affermando che ogni relazione tossica abbia come finale il femminicidio ma che tale legame corre pericolosamente sul filo rischioso di quel potenziale epilogo.

Post-it: Questi soggetti non è che si svegliano una mattina e decidono di punto in bianco di mettere fine alla nostra esistenza. No, loro covano e covano nel tempo fino ad arrivare al gesto estremo quando sentono che stanno perdendo potere su di noi. Per i manipolatori affettivi è inaccettabile essere rifiutati o scartati, gli si destabilizza letteralmente il controllo che si ingegnano a mantenere costante, pertanto, scarto e rifiuto sono azioni che, secondo queste menti disturbate, spettano a loro e non a noi.

Chi è, ogni maledetta volta, l’assassino? “Elementare, Watson, elementare! È l’ex, è il partner o l’amante che non vuole essere lasciato e che, intanto, ha collezionato fascicoli di denunce che hanno lo stesso valore della carta igienica.

Ecco che la prevenzione è assolutamente fondamentale, se non ci tutela adeguatamente la giustizia lasciamo almeno che ci provi l’informazione.

 

La violenza invisibile e subdola a cui mi riferivo è la manipolazione mentale che il narcisista patologico attua perfidamente e in modo consapevole, con ripercussioni psicofisiche devastanti sulle prescelte. In cima alla lista delle strategie c’è il “gaslighting”, un vero e proprio lavaggio del cervello che ha lo scopo di farci dubitare innanzitutto della nostra sanità mentale, via via poi, di prendere il pieno controllo di noi e della nostra vita, infine di isolarci e renderci dipendenti da loro.

La dottoressa Ivana Napolitano, ci spiega cos’è il “gaslighting” e come opera il “gaslighter”.

 

«Svegliarsi da un abuso manipolativo è difficilissimo perché il cervello ridotto a brandelli non vuole staccarsi “dall’ipnosi” per riconoscere di essere stato truffato. La paura è lo strumento di controllo d’elezione, è il terreno fertile su cui viene condotta ogni manipolazione.

girone3-fotoarticolo1

Il “GASLIGHTING” rappresenta una forma molto subdola di violenza psicologica, insidiosa e sottile che conduce chi la subisce a mettere in discussione la propria capacità di giudizio e autonomia valutativa fino a giustificare i continui messaggi di svalutazione e cattiveria del carnefice. La vittima dinanzi a continue distorsioni della comunicazione fatte di ingiunzioni come “Ma come non ti ricordi, l’hai detto tu”, “Non me l’hai mai detto, l’avrai immaginato”, “Non vali niente” finisce col convincersi che ciò che dice l’abusante sia la verità, si rassegna, diventa insicura, estremamente vulnerabile e dipendente.

 

In questa fase la violenza si cronicizza. Uscire da una simile gabbia non è semplice, poiché gli attacchi sono continui ma ambivalenti. La gravità di questa situazione è tale da condurre la vittima verso una condizione patologica. Se una donna si trova in una situazione simile va aiutata esattamente come chi viene picchiata, i lividi dell’anima non si vedono ma possono uccidere».

Post-it: Il termine “Gaslighting” deriva dal film “Gaslight” (Angoscia), del 1944, che ha premiato con l’oscar Ingrid Bergman come migliore attrice. Nella pellicola, tratta da un’opera teatrale, la divina Bergman interpreta il ruolo di Paula, moglie di Gregory, che rischia di impazzire a causa delle manipolazioni quotidiane di suo marito. Vale la pena guardare il film, disponibile sul web per intero, per rendersi conto dell’abuso mentale di questa potente tecnica.

Che si trattasse di “gaslighting” e da dove prendesse il nome questa tattica l’ho scoperto quando ho cominciato a documentarmi su ciò che stavo vivendo, quando rinsavendo ho anche acquistato barlumi di lucidità. Prima di allora descrivevo la mia esperienza, almeno verso il finale, associandola alla più famosa pellicola di Kubrik, tratta dal romanzo di Stephen King, Shining.

Non riuscivo a trovare un modo né diverso né peggiore che descrivesse quella “cosa”, per eventi e scenari mi sembrava di essere Wendy e come lei avrei dovuto trasformare quel po’ di nitidezza mentale in astuzia e soprattutto giocare d’anticipo.

Praticamente segregata in casa, nell’ultimo periodo della relazione, mi sono trovata costretta persino a telefonare i miei genitori di nascosto. Non avevo più connessione con il mondo esterno, amiche, amici, famiglia, tutti banditi dalla mia vita e mi inventavo bugie su bugie per tenerli debitamente lontani. Mia mamma e mio papà erano il solo contatto che mi restava, oltre il buio profondo di quella prigione, quindi lui doveva liberarsene.

Li chiamavo in fretta e furia, chiusa nel bagno o rifugiata in angoli della casa opposti a dove fosse “il tipo”, sempre attenta che non se ne accorgesse, un’ansia tremenda, parlavo velocemente per tagliare corto fingendo qualunque tipo d’impegno che mi impedisse di chiacchierare con più calma.

Quando capitava che l’essere abusante mi scopriva urlava:

«Embè, quando chiami i tuoi mi dai un fastidio da pazzi! Non lo devi fare, non c’è bisogno di telefonargli tutti i giorni, ok?!»

Infatti, lui un pazzo sembrava, con quelle espressioni che gli trasformavano il volto e quegli occhi che facevano spavento. Jack Nicholson, uguale!

Una mattina gliel’ho anche detto che gli somigliava, perché cominciava a dare di matto già di prima mattina, e che quell’appartamento sembrava il set di “Shining”, l’ha preso come un complimento. Io ero terrorizzata, lui ci godeva.

I miei genitori cominciarono a rendersi conto della situazione in cui mi trovavo, così un giorno si sono presentati a sorpresa sulla porta d’ingresso, mi sono sentita come il “Piccolo Lord” quando scende di corsa le scale della “sala grande” e si trova davanti la sua mamma spuntata dal retro dell’albero di Natale gigante. Proprio così.

Ora mi permetto di farla io una raccomandazione: “informiamoci, informiamoci, informiamoci!”.

L’informazione è il cardine fondamentale della prevenzione, siamo affamati di sapere e non smettiamo mai di documentarci su soggetti e relazioni con dinamiche dalle spie patologiche. Solo così potremmo individuare quei benedetti segnali, solo informandoci ci verrà automatico non ignorarli. Divulghiamo informazioni agli altri, parliamone senza vergogna o timore di non essere compresi, confrontiamoci sempre. Proviamoci! La conoscenza ci renderà razionali, la razionalità ci salverà.

“Hanno provato a seppellirci ma quello che non sapevano è che eravamo semi”

Dai risultati dei miei “giri di web” questa citazione è iper-inflazionata nelle sue varianti e vanta una serie indefinita di paternità, la più attendibile è che sia comunemente un proverbio messicano.

Ma poco ci importa delle sue origini. Il suo successo deriva dal fatto che sia una frase che colpisce per impatto, positività e speranza e la trovo quanto mai adatta alla causa di amorevol-Mente e in particolare al tema di questo girone.

Pare anche che, nel 2018, il proverbio sia stato usato come messaggio da migliaia di uomini e donne, a Santiago del Cile, in una manifestazione di protesta contro gli abusi domestici e femminicidio. L’evento si è svolto, in Plaza Italia, l’11 maggio perché non ritenevano necessaria l’attesa di una giornata mondiale dedicata.

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